La Bestia

Ingranaggi che imprigionano, levano il fiato.

Meccanismi perversi, deviati, malefici che si insinuano per distruggere. Corone meccaniche non di angeli ma di dèmoni che fluttuano nell’aria cercando la prossima preda. Una bestia, silenziosa, invisibile che entra nelle nostre vite e lascia il segno. L’Italia è in ginocchio, piange i suoi quasi ventottomila morti, ma si rialzerà, come sempre, come sa fare, come la storia insegna.

La bestia è ancora qui, non vuole perdere la guerra che ha scatenato eppure sta già accadendo e la sua carica aggressiva perde i colpi.

La bestia indietreggia, anche se dovremo farci i conti ancora

Ma che faccia ha? Perchè anche un microrganismo, in fondo, ha una faccia che lo identifica, dà forma, espressione; perchè in ogni guerra che si rispetti il nemico deve avere una faccia, anche quando non ce l’ha, deve rendersi riconoscibile, accettare le regole d’ingaggio.

Provare a guardare il coronavirus dritto negli occhi o almeno raffigurarlo come si immagina, si percepisce ogni giorno in ospedale, sul campo di battaglia: è ciò che ha fatto Giorgio Raffaelli. Incrocia “la bestia” tra le pieghe delle diagnosi radiologiche, all’ospedale San Donato di Arezzo. E’ un tecnico di Radiologia e dal suo osservatorio il Covid ha forme strane che ha cercato di definire con le mani, nel laboratorio sotto casa dove crea opere d’arte con ciò che trova in natura e nelle “fughe” al mare, sua autentica e inesauribile fonte di ispirazione.

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La rappresentazione iconografica mutuata dalla scienza rimanda a una specie di “pallina” con tante protuberanze, ma non è così che Giorgio “legge” il virus. Usa gli ingranaggi e le corone delle catene di vecchie bici per abbozzare il volto nel quale incornicia due occhi sbilenchi, pianta due chiodi che diventano sopracciglia, fissa una sorta di catenaccio a indicare un paio di baffi o forse i contorni della bocca.

E’ una forma indefinita, quasi indecifrabile, come il virus che da due mesi tiene il mondo sotto chiave

E’ l’incertezza che viviamo rispetto a un fatto così grave e impercettibile se non quando manifesta la sua aggressività, a dare all’opera di Giorgio una forma-non-forma.
“Ho chiamato il mio lavoro la bestia perchè è qualcosa di sconvolgente che ha già segnato le nostre vite: io lo vedo ogni giorno, in ospedale, ma lo vediamo tutti noi in tv, al supermercato, dal fornaio o in ferramenta: la gente non parla d’altro. Tutti abbiamo paura e tutti stiamo vivendo l’ansia di questa situazione, con notti lunghe e spesso insonni. Così, l’altro giorno ho deciso di fermare sulla tela la mia visione del Covid. Ogni volta che ci passo davanti provo un senso di ribrezzo”.

C’è un messaggio preciso anche nella cornice (mai un accessorio ma parte integrante dell’opera, secondo lo stile di Raffaelli) che da un lato ha una catena a simboleggiare “il blocco, la chiusura entro i confini della sua faccia, ovvero la battaglia che stiamo vincendo e dall’altro lato, un varco aperto perchè il Covid cerca ancora di diffondersi”, spiega Giorgio lontano dal suo mare per via della “bestia”.

Forse, questa volta, dagli abissi marini è emerso un mostro, una bestia affamata dei pesci che nuotano placidi nelle tele di Raffaelli raccontando la bellezza di un ambiente ancora puro. Ora, Giorgio ha dato un volto alla bestia e sa contro chi combattere. Come Davide contro Golia.
Lucia

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