Chi sa cos’è il tumore sa cos’è la vita

Faccio il tifo per chi fa i conti col tumore e per chi ha appena finito di farceli. sto da questa parte, che poi è anche la mia: sono una del Club, una delle tante.

Ma non è per vicinanza o forzata consuetudine; ci sto perchè da questa parte le cose hanno un altro senso, una prospettiva diversa, un sapore unico: amaro certo, ma anche salato e spesso perfino dolce. Dipende da come lo assapori, da come lo mandi giù, da come lo trasformi in energia per affrontare i momenti più complicati, quelli in salita e salita ripidissima. Che mentre la percorri, senti le gambe pesanti, i muscoli induriti, il fiato corto, e pensi che forse non ce la fai perchè è davvero troppo ripida per te. Un passo dopo l’altro, invece, i piedi vanno avanti e senti che c’è strada. Ancora.

Sto da questa parte della barricata perchè chi sta vivendo o ha vissuto un’esperienza del genere è un’altra persona. Non è più quella di prima, non lo sarà mai più. E’ una persona nuova che ha attraversato il dolore, sa cos’è, quanto costa, a cosa serve. Perchè anche in una fase così complessa, c’è una parte – piuttosto ampia – col segno ‘più’, una parte positiva, una parte che ti insegna il valore della vita, ti fa sentire la sua forza in ogni centimetro di pelle, ti dimostra come niente sia scontato e come tutto possa cambiare in un secondo. Un esame, una diagnosi e ti ritrovi sotto il tavolo, lo stesso sopra il quale stavi fino a un attimo prima.

Sto da questa parte perchè chi sa cos’è il tumore, sa anche come affrontare tutto il resto; sa che niente può fare più paura, più di quella che ha respirato nei giorni interminabili della chemioterapia e degli ‘effetti collaterali’ (ciascuno ha i suoi), quando sulla poltroncina attaccata alla macchina che emette un suono monotono e metallico, vedi il dolore negli occhi e nei corpi delle persone appese come te al ‘distributore’ di farmaci che non sono sciroppo per la tosse. Vedi come la malattia trasforma i volti, rallenta i movimenti, deforma le forme. Chi sa cos’è il tumore, ha respirato la paura nei racconti dei ‘compagni’ di chemio e ripercorso ogni attimo della propria storia; ha visto star male chi stava a mezzo metro dalla tua poltroncina, ne ha sentito il respiro irregolare, affaticato, ha raccolto il lamento che esce anche se provi a tenere la bocca chiusa contando i minuti che ti separano dalla fine della seduta.

Stringere i denti e lavorare pancia a terra, sguardo fisso al traguardo è l’esercizio che ha reso la mia esperienza sopportabile. La fede in Dio è la mia chiave, il mio passepartout, la mia certezza, l’unica in mezzo a un oceano di incertezze. Compresa l’incognita o l’incubo della ‘recidiva’: termine tecnico per dire che non bastava aver attraversato la sala operatoria, la sala chemio, la sala della radioterapia…, no, d’ora in poi avrai in testa anche questa parola e dovrai darti da fare per evitarne o almeno ridurne il rischio. Non è facile quando ascolti le testimonianze di persone che ci combattono per la terza, quarta, quinta volta. Eppure le osservi e negli occhi vedi la stessa voglia di farcela e di fare che hai tu che sei ‘solo’ alla prima.

Chi sa cos’è il tumore non ha tempo per i convenevoli, l’apparenza, l’immagine, il ‘ruolo’ nella società. La malattia ti stacca dalla quotidianità del prima e ti scaraventa in una quotidianità parallela: ti accorgi che gli altri ti guardano in modo diverso e quando sanno cosa ti è capitato, alzano lo sguardo ‘investigativo’ sulla parrucca che indossi perchè i tuoi capelli nel frattempo sono andati a farsi un giro sotto braccio alla chemio, ti trattano con finta benevolenza, insopportabile pietismo, come se tu fossi già con un piede nella fossa e comunque una persona da allontanare. Non vali più come valevi prima, sei considerata un ‘vuoto a perdere’, una da tenere a distanza perchè “improduttiva”.

Capita così, che perdi il lavoro perchè chi te lo ha dato fino a quel momento (e tu hai onorato con impegno e tempo dedicato senza contare le ore), decide che sei un peso. Parola che dentro di te ha la potenza deflagrante di una bomba atomica, ma con la quali impari a fare i conti. E’ la deduzione che ipotizzi dal momento che nessuno ti dice il motivo di una decisione così drastica. Forse perchè l’ipocrisia è ormai il tratto ricorrente di una società che ha smarrito se stessa e non sa più chi è, ma capisci subito che dietro a tutto c’è il tumore che hai avuto, comprendi che chi ha fatto una scelta così impattante non si è fatto tanti scrupoli.

Impari, impari. Tutto diventa patrimonio acquisito sul campo, conoscenza, esperienza. La sofferenza fortifica, distrugge l’orgoglio e ti consegna gli anticorpi necessari per andare avanti. Chi sa cos’è il dolore, sta nella vita con una marcia in più: guarda all’essenza delle cose, non si ferma in superficie ma cerca la profondità, conosce il valore dell’esserci, sa che ogni giorno è un dono, un’altra opportunità da non sprecare.

Faccio il tifo per chi fa i conti col tumore o ha appena finito di farceli perchè il tumore mi ha insegnato cosa significa ‘condividere’ e voglio continuare a farlo consegnando la mia piccola testimonianza a chi potrà servirsene per gestire questa fase con la consapevolezza che è possibile, ne vale la pena perchè in ballo ci sei tu e niente e nessuno è più prezioso di un giorno in più, dello svegliarsi al mattino e rendersi conto di essere vivi. Il tumore ti spinge ai confini della vita e sei tu a dovertela riguadagnare, metro dopo metro, allontanando da te quel confine.

Ai confini della vita” è quello che ho vissuto fin qui – ancora ci sto dentro – e il titolo del libro che sto scrivendo. E’ la forza e la bellezza che hai dentro, a prescindere dalla tua volontà, a riportarti a galla e ti ritrovi a muovere braccia e gambe perchè la stagione della vita duri più a lungo possibile e perchè chi sa cos’è il tumore, sa cos’è la vita.

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