A mia madre

Oggi è il nostro compleanno! Tu soffierai su settanta candeline con la leggiadrìa, il coraggio e la curiosità di una ragazza che ha attraversato più di mezzo secolo di storia. Io, come un buon soldatino, sto raggiungendo l’ultimo obiettivo assegnato, completando un cammino incredibile, pazzesco, in salita, ai confini della vita.

Ma il mio cammino è stato il tuo cammino, la mia forza è stata la tua; ci abbiamo messo tutto l’impegno di cui siamo capaci. Noi due, donne-guerriere. Ti sei presa un pezzo del mio tumore e l’hai fatto tuo, come se anche tu fossi finita nel target di un gruppo di cellule impazzite che un bel giorno decidono che sono lì per ucciderti.

Realizzi il rischio che corri solo quando ci sei dentro, quando la malattia ti fa sprofondare in abissi indescrivibili, che solo chi ci arriva può capire. Nel nostro caso, sei sprofondata anche tu con me in quegli abissi fatti di silenzio, dolori midollari e articolari, effetti del cortisone che ti gonfia come una mongolfiera e ti toglie il fiato, afte in bocca, sensazioni improvvise di freddo, tanto freddo dentro, alternate a vampate di calore che neanche nel deserto del Sahara si raggiungono picchi così alti. Nausea.

Hai voluto vedere l’effetto che fa, ti sei buttata a capofitto nei miei abissi, non ti sei limitata a dare solo una sbirciatina, no, li hai voluti praticare, sentire, respirare. Io lo so – l’ho sempre saputo perchè ti conosco e so che donna sei – ma è stato meraviglioso riconoscere quegli abissi nei tuoi silenzi, nei tuoi sorrisi, nei tentativi di alleggerire momenti davvero pesanti. Hai avuto paura, così come l’ho avuta io, ma nonostante ciò hai reagito, combattuto, sperato, pregato, ogni giorno di questo interminabile anno che ha lasciato le nostre vite un po’ ammaccate e noi due un po’ stanche ma sempre in piedi, dritte, a testa alta e con lo sguardo avanti, a ciò che sarà. Forse, parlare di futuro non ha senso, non lo ha più dopo la tempesta che abbiamo navigato indossando la cerata gialla dei marinai più esperti: ora c’è una dimensione del tempo diversa, tutta proiettata al presente ma non per questo meno intensa, vera, profonda, affascinante. Vivere e respirare ogni istante della giornata, considerare ogni giorno come un dono e l’esserci come un’opzione che Gesù vuole ancora concederci: abbiamo imparato anche questo nei dodici mesi fatti di viaggi a Firenze, prelievi del sangue, difese immunitarie da tenere su, sedute di chemioterapia, visite con l’oncologa, le attese, le storie degli altri malati, la burocrazia, gli acquisti in farmacia di tutto ciò che serve a far sembrare la chemio sopportabile e la parrucca una cosa normale.

Per me è stato tutto sopportabile anche perchè ci sei stata tu coi tuoi manicaretti quando non avevo fame, o le tue razioni calcolate nel piatto e punto, quando di fame ne avevo troppa per effetto del maledetto cortisone. E’ stato così quando ho perso il sonno e i capelli, quando il mio corpo si è trasformato e io non ho potuto farci niente, se non decidere che non mi sarei lasciata plasmare, condizionare dalla malattia, ma che avrei reagito con tutta la forza che ho dentro, di cui sono capace.

E allora, tra mille cose condivise, abbiamo cominciato a camminare, raccontandoci. Abbiamo macinato chilometri su chilometri tuffandoci nel grigio e nel buio dell’inverno; abbiamo ammirato estasiate il miracolo della primavera e della vita che rinasce in ogni piccolo-grande elemento della natura; abbiamo salutato l’estate e sfidato l’afa, ‘rapite’ dalla meraviglia dei campi dorati di grano e da tramonti rosso-fuoco, spettacoli mozzafiato tutti per noi.

Il nostro tragitto quotidiano (6,5 chilometri) è diventato la nostra palestra con una tabella di marcia rigorosissima. Passo dopo passo, avanti anche quando mi facevano male da morire i muscoli, i miei piedi erano intorpiditi dagli effetti collaterali della chemio e i miei passi rallentati. Insieme, abbiamo camminato dentro le nostre vite riscoprendone la bellezza sconvolgente.

Non potrò mai dimenticare l’espressione del tuo volto quando ti lasciavo per l’ora e mezzo di chemio e quando tornavo nella sala d’attesa: stavi leggendo una rivista ma non era vero; i tuoi pensieri erano nella camera della chemio, accanto a me che me ne stavo attaccata a una macchina mentre un liquido prima rosso, poi bianco, mi ha attraversato in lungo e in largo le vene facendo quello che doveva fare. Ricordo le tue conversazioni con altre donne senza capelli e col viso trasfigurato dal cortisone, il tuo incoraggiamento a loro mentre dentro di te eri spaventata da racconti di due, tre, quattro recidive.

Abbiamo tenuto il fiato sospeso per gli esami di controllo – la famigerata Tac con mezzo di contrasto – e siamo esplose in una gioia incontenibile quando i medici hanno sorriso e certificato che nel mio corpo non c’è più nulla di quello che dodici mesi prima, aveva invaso la parte più intima di una donna, quella della maternità e della femminilità.

Abbiamo condiviso tutto. Oggi desidero celebrarti perchè il tuo compleanno è il mio, perchè segna la data della rinascita che tu hai accompagnato, sostenuto, rinascendo con me. Io sono rinata su quel tavolo operatorio in un nebbioso e umido giorno di novembre dopo aver pianto lacrime disperate nelle notti insonni, sola e appesa alla sentenza della biopsia. Io sono rinata su quel tavolo operatorio dove tre donne mi hanno sedato e col bisturi attraversato la parte del seno okkupata dal tumore, salvandomi la vita.

Sono rinata su quel tavolo operatorio quando 22 millimetri di cellule impazzite sono finite nella spazzatura e con loro ciò che restava del mio seno e dei linfonodi ascellari. Ma sono viva e l’operazione serviva proprio a questo.

Tu eri lì quel giorno insieme a mio padre (potrei declinare al maschile esattamente tutto ciò che scrivo di te) e mi hai partorito un’altra volta, ridandomi una seconda vita, una vita nuova.

La tua carezza e il tuo sorriso il giorno dell’intervento chirurgico prima di varcare sopra un lettino la porta rossa delle sale operatorie sono stati l’ultima immagine che ho visto prima di addormentarmi, l’ultimo ricordo immagazzinato nella mente prima di viaggiare in una dimensione parallela; un’immagine che mi ha fatto compagnia per sette lunghissime ore nelle quali – ne sono certa – ti sarai agitata, preoccupata, avrai chiesto a mille infermieri che fine avessi fatto e perchè ci mettevano così tanto dall’altra parte della porta rossa.

Ed è ancora tua, la prima voce che ho sentito al mio risveglio, immobile nel letto con tre drenaggi che penzolavano sul pavimento infilandosi in una sacca rossa. E’ il tuo viso che mi ha accolto di nuovo, raccontandomi cosa nel frattempo mi ero persa.

C’è una foto che conservo gelosamente nella mia casa: sta appesa a una parete e ogni giorno che ci passo davanti la guardo e sorrido. Ci sei tu e mio padre fuori da una chiesetta, circondati da un nugolo di parenti, il giorno del tuo matrimonio: avevi 18 anni, 52 anni fa. Ci sono anche io in quella foto, stavo dentro la tua pancia; sarei nata di lì a un mese. In quell’immagine in bianco e nero – elegantissima – c’è il riassunto del nostro viaggio. Un viaggio emozionante, ricco, vivo, rumoroso, calmo, colorato. Che nemmeno un fottutissimo tumore potrà interrompere perchè io sono in te e tu in me; perchè oggi è il nostro compleanno e perchè io e te ci saremo sempre. Insieme.

Buona rinascita, mamma!

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