La voce sul monte

La luna si arrampica sui fianchi del crinale. Sale lenta, il vento la veste con leggeri veli di nubi che la rendono ancor più ammaliante, misteriosa.
Una “sorella” che ha fatto un lungo viaggio perché vuole esserci, perché sa che in questo luogo staccato dalle beghe del mondo, come un veliero che placido e sicuro solca il mare della Valdichiana, c’è un pathos unico, c’è l’essenza di tre persone vive nella memoria di chi ha avuto il privilegio di incontrarle e da loro trarre un insegnamento di vita: Fabrizio Meoni, sua figlia Chiara e Massimiliano Tanganelli.
Tutti cresciuti a pane e motocross, odore di benzina che graffia la gola e nuvole di polvere alzate qui, lungo i tornanti sterrati che salgono a Partini.
Silenzio, solo il canto del vento a raccontare di quando Fabrizio Meoni “danzava” con la sua moto da enduro e tutti lo stavano a guardare, incantanti. Non ce n’era per nessuno, lui era avanti anni luce.
Gli amici di sempre, qui, hanno condiviso con lui la fatica degli allenamenti e l’ostinazione della perfezione che ha reso Fabrizio Meoni un campione amato nel mondo. Lo stesso rigore e sfrenata passione di quando cavalcava le dune africane entrando nella leggenda della Dakar, incoronato “re del deserto”, per sempre.
Il mito di Meoni resiste al tempo e ai limiti degli uomini, perché come dice il suo “allievo” Giò Sala, “Fabrizio è stata una bella persona, uno che se arrivavi al bivacco nel deserto dopo una tappa della Dakar e avevi un problema, lui ti dava consigli e impiegava il suo tempo per darti la soluzione. Questa umanità e disponibilità verso gli altri, la semplicità nei rapporti umani e la grande competenza, la professionalità, sono qualità rare nel mondo dei campioni e Fabrizio sarà sempre amato anche per questo, oltre alle sue imprese e l’amore travolgente per la moto”.
Parole miste a commozione per il cinque volte campione del mondo di enduro e “Dakariano” folgorato sulla strada di Meoni.
A ricordare l’uomo e il campione c’è un cippo in pietra, ogni anno mèta di “pellegrinaggi” del popolo dei motociclisti che salgono qui a rivolgere un pensiero al campione e, magari, a chiedere un consiglio prezioso. Ispirati da lui e dalla sua umanità. Una ricarica d’energia possibile solo in questo luogo che ha qualcosa di speciale e al tempo stesso magico.
Poco più in là, Federico Milighetti e Carlo Landucci, tra gli amici “storici” di Fabrizio Meoni, stanno in piedi accanto alla sua moto, una Ktm con l’adesivo sbiadito dall’usura, che questi sentieri di montagna conosce ormai in ogni piega.
Sopra il serbatoio è sistemato il suo casco e nel sopra-ruota c’è il suo numero: 1. Tutto in ordine, tutto pronto per la messa in moto. Sembra che da un momento all’altro Fabrizio sbuchi da dietro un albero col suo sorriso solare e la festa possa cominciare. Sono convinta che dentro il cuore di ogni persona che qui, stasera, è riunita nel suo nome, ci sia questa sensazione, quasi una speranza. Ma tutto diventa terribilmente toccante, quando Gioele Meoni, fa “cantare” la moto del padre. Il rombo, prima quasi monocorde, diventa voce e si fa parola nelle sgassate che arrivano come un pugno nello stomaco.
Il rombo è la voce di Fabrizio e gli acuti sono il suo incoraggiamento a vivere pienamente, assaporando ogni istante e lavorando per realizzare i propri sogni. Come ha fatto lui e come per un tempo brevissimo ha saputo fare la figlia diciottenne Chiara, prima della battaglia finale contro la malattia.
Una ragazza speciale che ha insegnato a tutti noi cosa è la vita e come si deve stare al mondo, lei che il mondo lo ha lasciato troppo presto.
Le parole con cui mamma Elena ne descrive l’impegno a scuola e nella prova che ha sopportato, affrontato con coraggio, tenacia e speranza, circondata dall’amore della madre e del fratello e la fidanzata, e dal sentimento profondo e puro di Matteo, il ragazzo con cui Chiara stava disegnando il futuro, sono un monito per tutti.
Il ricordo serve a tenere vive le persone che si sono amate o che si è avuto la grazia di incontrare e quell’incontro ha prodotto frutti buoni: è così anche per Massimiliano Tanganelli, pure lui volato in Cielo troppo presto, amico fraterno di Fabrizio Meoni e della “squadra” di quelli del cross sulla montagna castiglionese o tra le dune del deserto.
La “voce” di Fabrizio ora “urla” nel silenzio come un incitamento a non mollare mai, a dare il meglio di noi in ogni circostanza, a pensare a chi nella vita ha avuto meno e a darsi da fare per aiutare. Giò Sala rievoca un passaggio della “filosofia” con cui Fabrizio Meoni è entrato nella storia: “Diceva sempre: io ho avuto molto dall’Africa, e devo restituire ciò che ho ricevuto con la stessa generosità”.
E’ nata così la missione della Fondazione che porta il suo nome e non si ferma, nemmeno di fronte al Covid. Il rendez-vous a Partini serve anche a questo: fare beneficenza sostenendo progetti mirati. Luca Fabianelliillustra l’obiettivo della raccolta fondi: costruire un pozzo in Mauritania che darà acqua alle persone dei villaggi lungo il percorso della Dakar che tante volte Fabrizio ha attraversato in sella alla moto.
Il rombo ora si spegne ma non muore; nel silenzio si levano le note struggenti dei violini di Luca Aretini e del suo giovane allievo, mentre la luna accende il monte e tiene lontani i fulmini di un temporale minaccioso, perché niente disturbi questo momento. Cade qualche goccia di pioggia, ma sono lacrime di gioia dal Cielo per tutto l’amore che Fabrizio, Chiara e Massimiliano hanno ricevuto su questa terra e per sempre.

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