Gli alberi della vita dopo il sisma

Viaggio nelle Marche quattro anni dopo

Reportage dai Monti Sibillini, nelle Marche. Visso, Ussita, Cupi e Muccia in provincia di Macerata: tre anni dopo il terremoto poco è cambiato.

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Elia e Zeno hanno quattro mesi. Provo a immaginarli un giorno, giovani uomini davanti ai due melograni che portano il loro nome e che in quel tempo, saranno piante adulte, generose di frutti. Ora sono piccoli arbusti come le giovani vite di Elia, Zeno e dei bambini nati nel comune di Monzuno (Emilia Romagna) ai quali è dedicato il terzo melograno.

Metteranno radici nel giardino di Beniamino, Sandra e Arcangelo che vivono in un container da quando il terremoto del 2016 ha distrutto casa e lavoro, rovesciato la vita e ipotecato il futuro.

Cupi, un pugno di case arrampicate in un crinale dei Monti Sibillini, nelle Marche, provincia di Macerata.

Cupi, Visso, Issuta, Muccia: nomi di paesi e di comunità rimbalzate sui tg e nei giornali per il tempo che serve a “dare la notizia”, intervistare i sopravvissuti, parlare di ricostruzione, documentare la passerella dei politici di turno con annesso armamentario di promesse puntualmente disattese o matenute solo in parte. Giusto il tempo di “dare la notizia” e poi riflettori e telecamere si spengono per passare oltre, alla prossima tragedia.
Qui, tra queste montagne, il silenzio racconta di uomini e donne temprati alla sopravvivenza e per questo temerari, coraggiosi che hanno perso tutto in pochi secondi: vite, affetti, casa, lavoro. Tutto. E si apprestano a passare il quarto inverno in container che con le temperature in picchiata a meno dieci, si gelano, così come di notte si gela il pavimento in linoeum (o qualcosa di simile), tanto che al mattino mettendo giù i piedi dal letto bisogna stare attenti e non scivolare nel sottile strato di ghiaccio che ricopre l’impiantito.

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Gli uomini e le donne dei container accanto alle case sventrate e alle macerie ancora tutte lì, ti raccontano questo e molto altro; ti dicono che la burocrazia toglie il fiato a chi chiede solo di poter riaprire il negozio, far ripartire l’azienda, il laboratorio, il ristorante, l’albergo.

Sguardi fieri, gente di grande dignità che sta attaccata a quel poco rimasto o racimolato, perchè è qui che vuole stare riprendendosi la vita, oggi ancora sospesa. Al netto della straordinaria macchina dei soccorsi che nell’emergenza ha dato il meglio di sé, quattro anni dopo tra queste montagne, poco o nulla è cambiato.

A fare la differenza in molti casi, è l’aiuto silenzioso ma costante, determinato, incessante, carico di umanità, dei privati, gruppi di amici che “adottano” aziende e famiglie, sostenendo i costi del lento (troppo) ritorno alla normalità, o almeno a una condizione di vita decente.

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Ho avuto l’opportunità di seguire l’ennesima missione, il milionesimo viaggio (in realtà non si contano più) dei volontari di Castiglioni Aiuta e ho scoperto una rete incredibile di solidarietà concreta.
Gente del fare, che organizza, cerca, trova ciò che serve, telefona, copre le spese con cene e lotterie di beneficenza, prenota camion e bilici per trasportare rotoballe di foraggi, carichi di mais, e salvare gli animali che danno latte, formaggio, carne, lavoro a chi come Beniamino, Sandra e Arcangelo ha costruito con fatica e passione l’azienda di famiglia: il Pastorello di Cupi.
Mille pecore, 45 capre e una trentina di mucche che dopo il terremoto e con tre metri di neve (ottobre 2016) hanno rischiato di morire di fame e con loro una famiglia. Ho conosciuto Castiglioni Aiuta e l’ho visto all’opera, attraverso i volti e i sorrisi, il cuore grande, di Anna e Marino, Sergio e Giancarla, i rispettivi figli, Andrea e Stefano con le mogli e i nipotini Elia e Zeno, di Francesco. Mi hanno raccontato che tutto è partito da un messaggio su Facebook di Alberto che nell’immediatezza del sisma chiedeva aiuto per il trasporto di materiale di prima necessità.

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Anna ha risposto subito sì e da lì, insieme al marito, a Osman, Denise e tanti altri è partita una catena di solidarietà che a Castiglion Fiorentino ha coinvolto (e continua a farlo) decine e decine di persone che ogni volta si aggiungono, partecipano, vogliono dare una mano.

Nei viaggi della solidarietà concreta tra Castiglioni e Visso, i volontari hanno ricostruito il caseificio del Pastorello di Cupi

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(impianto elettrico e idraulico compresi), recintato tutto il grande perimetro dell’azienda agricola per proteggere gli animali, montato cucine e stufe a pellet, acquistato e fatto acquistare i prodotti del caseificio, solo per citare alcune delle tante cose fatte.

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E con lo stesso entusiasmo si sono presi cura di una pelletteria donando una macchina da cucire preziosa, ripristinando l’impianto elettrico e consentendo al laboratorio di ripartire, di un’altra azienda agricola e di piccoli artigiani e commercianti che hanno potuto riaprire la saracinesca delle loro attività.

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Aiuto silenzioso, fatto di una presenza costante che ha trasformato la conoscenza in amicizia, la solidarietà in fraternità e gratitudine, le lacrime della disperazione in lacrime di gioia per i piccoli-grandi traguardi raggiunti e condivisi. Legami ormai indissolubili.
In una giornata ricca di sole e di umanità, nel piazzale del Pastorello di Cupi si piantano tre melograni e si fa festa all’insegna della speranza, nella consapevolezza che se la burocrazia ostacola, l’amicizia, la presenza, la disponibilità, rendono possibile il futuro e la voglia di riscatto di questa gente ferita, ma in piedi.

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In questi anni i sindaci di Castiglion Fiorentino Mario Agnelli e di Monzuno Marco Mastacchi (oggi ex) hanno sostenuto l’attività dei volontari e fatto la loro parte; a Cupi gli assessori Stefania Franceschini e Morena Ricò insieme a Mastacchi confermano il sodalizio durante la cerimonia di messa a dimora delle piante. I melograni sono il dono di Pietro Tanganelli, imprenditore florovivaistico castiglionese e quando Sandra lo ringrazia, commossa, lui risponde così: “E’ il minimo che potessi fare”.

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Sono gli alberi della vita che cresceranno insieme a Elia e Zeno, ai bimbi di Monzuno, incrociando le vite delle persone che non si arrendono

Trascorrere una giornata con loro e i volontari di Castiglioni Aiuta è stata per me un’esperienza di straordinario valore umano.

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Il vento soffia su tappeti di foglie gialle e rosse che rivestono i boschi e si accumulano ai lati della strada che taglia il fianco dei pendii scendendo verso Visso, Ussita, Muccia.
Case ridotte a ruderi, imbrigliate in gabbie di ferro, zone rosse, transenne e barriere metalliche separano la vita sospesa, spezzata, dalla vita che va avanti nella distesa di casette prefabbricate in attesa di una sistemazione definitiva. Ma qui, il tempo sembra dilatato e l’attesa infinita.

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