Le tre ‘S’ di Camillo

Lasciamo sempre che la vita ci sorprenda”. Lo dice con un sorriso aperto, che si specchia negli occhi chiari che raccontano il mare, le montagne, la sua terra: terra di Sardegna. La domenica, se uno cerca e sa cercare, c’è tanto da scoprire in tutto quello che ci circonda. Basta lasciarsi sorprendere. Camillo è stata per me una sorpresa, come il suo ristorante, a Roma. Il piacere della convivialità, dell’accoglienza, del non essere considerato solo e subito un cliente da “spennare”, lo respiri appena apri la porta e ti “salutano” i profumi, intensi, della cucina. I sorrisi, grandi, delle persone che ti vengono incontro come si fa con un amico, con uno di casa.

Poi arriva lui, Camillo e capisci che quello sarà un pranzo speciale, un viaggio, un’esplorazione. Che comincia da una tavolata di dodici persone che condividono, un momento insieme, nel tempo lento di un giorno di festa. Camillo è lì, accanto a te, ti coccola con le prelibatezze della sua cucina e lo stupore del suo sapere dietro al quale c’è curiosità, desiderio di conoscenza, studio, approfondimento.

Tutto qui riporta e riparte dalla terra di cui Camillo è fiero portavoce, alfiere appassionato. La Sardegna è in questo piccolo angolo di Roma, quartiere Prati Fiscali e nei racconti di Camillo, comincia il viaggio. Colori, profumi, sapori. Davanti a un piatto di tagliolini con bottarga e carciofi respiri l’odore del mare, come su uno scoglio, a guardare l’infinito. Silenzio tutto intorno: a parlare è solo la meraviglia della distesa d’acqua che hai davanti e che lava ogni tuo pensiero, liberandoti dagli schemi, precipitandoti all’essenza delle cose.

Gusto intenso, ma delicatissimo. Abbinamento perfetto (e per me insolito) col carciofo e un calice di vermentino dell’azienda Monserrato. Affondi il naso del bicchiere e respiri, respiri. Piacere puro. Camillo si illumina quando gli chiedi come nasce questo piatto e scopri che è frutto di una ricerca che ha fatto di porta in porta nella sua terra, “a parlare con la gente” dei piccoli paesi dove la tradizione vive e si tramanda di generazione in generazione. “Risale ai primi del Novecento e originariamente la bottarga si mangiava insieme ai cardi selvatici”. Viaggi con la mente quando ti dice che la carta musica (il tipico pane casarau) “la portavano le donne ai pastori e la forma deriva da quella del piatto”. Altri tempi, ma che Camillo fa rivivere nella sua cucina dove tutto ha un senso, uno scopo preciso. Niente è per caso e te ne accorgi dalla cura con cui presenta il cibo e sentenzia: “Il modo in cui componi un piatto è fondamentale”. Il suo quartiere generale lo definisce “un campo di battaglia” fino a che l’ultimo cliente è seduto; poi una piccola tregua e si ricomincia. Ma è una battaglia gioiosa tra lui che la ingaggia e gli ospiti che ne sono protagonisti. Così a pranzo e a cena.

Si definisce “un matto”, un “posseduto” e la cifra della “possessione” è “l’amore per questo lavoro dal quale non potrei mai stare lontano”. E’ così che quando spegne le luci del ristorante, nel cuore della notte, corre a casa e il “suo” viaggio ricomincia “da quell’ora che mi dedico per leggere, studiare, approfondire”. E’ così per la passione che coltiva e che lo porta a mettere le mani sui mobili antichi per “aiutarli a invecchiare bene, non per rifarli come nuovi”. Attenzione maniacale alle materie prime: in testa ha un “navigatore incorporato” con la mappa dei luoghi migliori dove scegliere i prodotti migliori, un banca dati acquisita in trent’anni passati tra i fornelli e le conversazioni con gli ospiti e la sua gente.

Il vino è un’altra manìa di Camillo e ovviamente, vino di Sardegna. Dieci selezioni di “ciò che piace a me e penso possa piacere anche agli altri, perchè vado all’essenza e ogni vino è speciale come chi lo fa perchè dietro c’è una storia, un racconto, un’emozione”. Punto. Nessun compromesso con gli stereotipi sull’abbinamento vino-cibo perchè “il vino è soggettivo, non lo puoi imprigionare in uno schema valido per tutti. Nessuno può salire in cattedra; sono le emozioni a guidarti quando ti abbandoni ai tuoi sensi e li rimetti in moto”. La filosofia è che “una persona deve andare in un ristorante per mangiare bene e stare bene in un contesto che lo accoglie, lo coinvolge, lo rende partecipe e al centro di attenzioni che impreziosiscono il tempo che passa da noi”.

Respiri, e la Sardegna è ancora qui, in un tonno appena scottato e profumatissimo o tra i ravioli di pesce, delicatissimi. Il mare e il pesce sono la fonte di ispirazione quotidiana di Camillo che propone anche una pizza cotta nel forno a legna ma non è la peculiarità del ristorante e ne apprezzi la franchezza quando ti dice che la “pizza buona è solo a Napoli”.

Tutto pesce, ma nel suo “regno” tra pentole, vassoi, attrezzi del mestiere non può mancare il maialino sardo: altra storia, altro viaggio. Come in un calice di Cannonau, il rosso che ti porta dagli altopiani dell’isola fin dentro il profumo della macchia mediterranea. E a proposito di macchia mediterranea, Mirto da brivido: lo fa lui e anche qui è emozione pura. Allegria a tavola, chiacchiere, sorrisi, dettagli autentici. Calore. Poi ti passa sotto il naso un profumo che ti spiazza: Camillo tiene tra le mani come fosse un diamante della corona di Sua Maestà, un vassoio di Seadas e amaretti appena fatti e sfornati. Il calore del forno danza col profumo del miele e del formaggio, esalta il gusto della pasta di mandorle: momento sublime. Chiudo gli occhi e mi ritrovo su quello scoglio, a respirare l’infinito.

Per lui la vita è gioia, passione ma anche sfida continua, anche con le cose talvolta più grandi di noi. “Ho aperto il ristorante proprio in questa zona nonostante tutti mi dicessero che mi sarei messo la fune al collo. Mi dicevano, ma come? Apri dove nessuno sopravvive? Sono passati sei anni e sono ancora qui. Niente è impossibile, se lo vuoi veramente, se dedici di viverlo come impegno, anzitutto con te stesso”. Perchè “se non ti batte il cuore non vai da nessuna parte”, dice col suo sorriso aperto mentre evoca un’altra passione che lo fa volare alto: l’elicottero. Perchè? “E’ emozione profonda, curiosità, voglia di conoscere” ti dice con gli occhi lucidi di stupore. Non ha un traguardo Camillo, “niente ha fine, la ricerca è continua, non si arresta mai. Del resto, sono trent’anni che faccio ristorazione e non mi hanno ancora licenziato…”. Un viaggio nel tempo, ma senza tempo.

Camillo. Ristorante Pizzeria, via Val Cenischia 16/18 (Conca d’Oro), Roma

Tel. 06 88 60 546 (chiuso il lunedì)

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